Peschiamo una carta a caso dal mazzo: perché abbiamo scelto proprio quella e non un’altra? Alcuni spiegano questo fenomeno con l’aleatorietà dell’evento o facendo riferimento a leggi di probabilità.
Altri, invece, fin dalla notte dei tempi “interrogano” le carte per ottenere una risposta su eventi in corso o che si presume accadranno. I Tarocchi, utilizzati tuttora a scopo divinatorio, pare trovino origine nell’Italia settentrionale tra Medioevo e Rinascimento.
Anche i Visconti si fanno il mazzo
Nati inizialmente come come gioco di carte didattico, solo in seguito i Tarocchi sono stati impiegati per predire gli eventi. Uno dei più antichi e completi mazzi di Tarocchi pervenutici risale al Quattrocento ed è esposto alla Pinacoteca di Brera di Milano. Fu realizzato negli anni Quaranta del Quattrocento a Cremona nella Bottega di Bonifacio Bembo per il Duca Filippo Maria Visconti.
Detti anche Tarocchi Brambilla, dal nome della famiglia a cui appartennero a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, sono stati acquistati dallo Stato nel ’71. Trattandosi di un oggetto delicato, non può essere esposto per lunghi periodi: l’ultima volta è stato nel 2013, dopo quattordici anni di “pausa”.
78 carte da interrogare
Il mazzo dei Tarocchi, spiega Gerd Ziegler ne “I Tarocchi – specchio dell’anima” (1988), è costituito da 78 carte, suddivise in 22 Arcani Maggiori (figure umane, animali o mitologiche), 16 carte di corte (le quattro figure di fante, cavaliere, regina e re) e 40 Arcani Minori. Sia le carte di corte che gli Arcani minori recano uno dei quattro semi delle carte tradizionali italiane (denari, coppe, spade e bastoni).
“Le carte vengono mescolate con calma e attenzione e poi disposte a ventaglio su un panno già disteso, con le immagini rivolte verso il basso – scrive Ziegler -. Prima e durante l’estrazione si possono chiudere gli occhi. Ogni carta porta in sè un’energia corrispondente al contenuto del suo simbolo. Le domande rivolte ai Tarocchi sono domande al nostro subcosciente”. Nella comprensione della figura, spiega Ziegler, la cosa più importante è “la reazione più immediata e spontanea che questa suscita in noi”.
Sempre secondo l’autore,
“la nostra percezione del mondo e la totalità della nostra vita si muovono in sincronia con il nostro mondo psichico-spirituale: ognuno crea per se stesso, nel vero senso della parola, la propria realtà, attimo per attimo. Il tipo di domande che rivolgiamo ai Tarocchi determina anche la qualità delle risposte”.
Ziegler identifica tre tipologie di domande, a seconda del periodo preso come riferimento: presente, passato e futuro. Quelle sul passato riguardano sempre situazioni e relazioni non concluse:
“Alla fine, però, si dovrebbero interrogare le carte anche sulle conseguenze della passata esperienza sul presente” scrive l’autore.”
Istruzioni per l’uso
Al mazzo di carte dei Tarocchi disegnato da Sergio Ruffolo il produttore Dal Negro ha abbinato un libretto recante alcune note esplicative. Dopo averle mescolate, riporta il testo,
“le 78 carte si dividono in due mazzi di 39 carte ciascuno. La lettura avverrà solamente su uno dei due mazzi. Sul tavolo vengono disposti su due file dodici gruppi, formati da tre carte ciascuno. Il tredicesimo gruppo sarà letto per ultimo e costituirà la sorpresa”.
Il metodo semplice, invece, prevede il solo utilizzo degli Arcani maggiori, del quale ne vengono scoperti solo 10. Alla risposta dei Tarocchi sarà attribuito un diverso significato, a seconda delle carte e dell’ordine con il quale vengono scoperte.
“Nulla avviene per caso”
Tornando invece al libro di Ziegler sui Tarocchi, per spiegare il motivo secondo il quale si estrae una carta piuttosto che un’altra l’autore chiama in causa il concetto di “sicronicità”, coniato dallo psicanalista Carl Gustav Jung (1875-1961).
“Con questo termine Jung volle definire un insieme di avvenimenti fra i quali non sussiste nessuna connessione logicamente dimostrabile” scrive Ziegler.”
Anche un album del gruppo rock The Police, intolato appunto “Synchronicity” e registrato all’inizio degli anni Ottanta, è ispirato alla teoria junghiana. Secondo lo psicanalista svizzero Jung le normali coincidenze della vita di tutti i giorni, come ricevere una telefonata dalla persona che si è in procinto di chiamare o leggere una frase e sentirla ripetere in un altro contesto, non rappresenterebbero solo una simultaneità fortuita di eventi.
“Non c’era nulla di assurdo o sconvolgente nell’idea che alcuni eventi potessero superare le limitate categorie di spazio, tempo e causalità – scrive Jung, parlando di vita nelle campagne -. Si sapeva che gli animali preavvertono l’arrivo di tempeste e terremoti, che i sogni possono annunciare la morte di certe persone. Erano noti i casi in cui gli orologi si fermavano al momento di una morte e i bicchieri andavano in frantumi in un momento particolare”. Scrive ancora Jung: “Quanto maggiore è il numero di elementi che presenta una serie di questo tipo, o quanto più insolito è il loro carattere, tanto minore è la loro probabilità”.
Le carte Zener
Ne “La dinamica dell’inconscio” lo psicanalista svizzero racconta inoltre di un esperimento realizzato da Joseph Rhine, botanico e parapsicologo americano, utilizzando un mazzo di 25 carte che recavano cinque segni diversi (un cerchio, una croce, tre linee ondulate, un quadrato e una stella) di forma simile alle normali carte da gioco. In seguito prenderanno il nome di “carte Zener”, dallo psicologo Karl Zener che le aveva inventate appositamente per l’esperimento. Riporta Jung:
“Il mazzo è stato coperto per 800 volte e gli intervistati non potevano vedere le carte che venivano via via scoperte. La probabilità di indovinare era di uno a cinque”.
A detta di Jung, però, l’esito degli esperimenti si discostò di gran lunga dalle leggi probabilistiche: diversi individui indovinarono un numero di carte superiore e in un caso furono addirittura indovinate tutte le carte del mazzo.
L’acchiappafantasmi marpione
Diversi registi cinematografici hanno fatto riferimento alle carte Zener nelle loro opere. Una delle citazioni più divertenti si ritrova nella scena iniziale del film “Ghostbusters” (1984). Prima di intraprendere la professione di acchiappafantasmi, Peter Venkman, impersonato da Bill Murray, è un ricercatore universitario che si occupa di parapsicologia. Si trova a condurre un esperimento con due studenti, un ragazzo e una ragazza. Entrambi devono indovinare cosa si cela dietro alla carta che il professore tiene in mano: in caso di risposta sbagliata è prevista una scossa elettrica. Il dottor Venkman eviterà di somministrare la scossa all’avvenente fanciulla quando sbaglia, “punendo” però il giovane anche in caso di risposta corretta. Il ragazzo, spazientito, abbandona arrabbiato la postazione e in questo modo il ricercatore può corteggiare indisturbato la studentessa.